In questi giorni è stato tutto un susseguirsi di domandoni del tipo “ma in Italia sarebbe possibile fare quel tipo di satira?” oppure sentenze come “gli italiani non possono essere Charlie Hebdo perché nel nostro paese la libertà di espressione non esiste.”
Tralasciando la facilità con la quale su Facebook ci si guadagni fantomatiche lauree in sociologia, filosofia, si diventi statisti, politologi, teologi e fini pensatori, la domanda è pertinente, ma come ogni domanda posta non capziosamente, ha la sua risposta. In questo caso sì, in Italia si può fare satira, su carta, senza chinare il capo di fronte al Papa, al Presidente o addirittura a Dio: è il caso de Il Vernacoliere, il celebre mensile “di satira, umorismo e mancanza di rispetto, in vernacolo livornese e in italiano” nato nel 1982 dalla penna dello storico direttore Mario Cardinali e dalle vignette di Max Greggio, che ha visto nel corso degli anni i contributi, tra gli altri, di Federico Maria Sardelli, Emiliano Pagani, David Lubrano, Giorgio Marchetti, Daniele Caluri, Andrea Camerini e Guido Amato.
sotto, il direttore Mario Cardinali nella redazione de Il Vernacoliere
Certo, c’è una bella differenza tra il Charlie Hebdo ed il Vernacoliere, come spiega il direttore Cardinali in questa recente intervista a Il Fatto Quotidiano:
“Gli stili di alcune vignette possono assomigliarsi un po’ ma i due periodici sono sostanzialmente molto diversi: alla base del nostro giornale c’è infatti la satira vernacolare. Quello che ci accomuna è invece la libertà di pensiero.” … “E comunque se la satira non riesce a urtare la suscettibilità delle persone, beh, allora non si può definire satira. Ci tengo a precisare una cosa però: noi non facciamo satira sul sentimento religioso, ognuno è libero di credere in ciò che vuole. Noi prendiamo di mira soprattutto coloro che si investono dell’autorità religiosa e che si vorrebbero imporre su tutti gli altri esseri umani indicando come ci si deve comportare”
In ogni caso, Il Vernacoliere ha sempre preso di mira i religiosi ed i potenti, come testimoniano le sue storiche locandine e copertine (l’epiteto “pisano” sia letto in forma dispregiativa, vista l’eterna rivalità tra le città di Livorno e di Pisa), declinando ogni speranza alla Topa (volgare ma nemmeno troppo nomignolo dell’apparato riproduttivo femminile) che fuori da ogni sessismo, diventa il totem, l’allegoria dei sogni proibiti, il paradiso degli atei:
Il Vernacoliere se la prende con il Papa tedesco:
Con il Papa polacco:
L’automobile che va a bestemmie:
Con il premier Renzi:
Con il Cardinale Ruini:
Con i cristiani ed i maomettani, terribilmente profetica:
Con i preti pedofili:
Con il presunto pagamento dell’ICI da parte del Vaticano:
Con Silvio:
Con Beppe Grillo:
Con Papa Francesco (e Angela Merkel):
Vintage, con Reagan:
Con la Cina nella guerra al Tibet:
Di nuovo coi preti pedofili, argomento caldissimo:
Con Berlusconi e con la Madonna:
Col PD:
Con Gesù:
Con la mafia:
Il linguaggio è colorito, di chi non le manda a dire, l’iconoclastia e l’anarchia sono tipiche della Livorno nella quale è nato il P.C.I., quella che non si riconosce nelle odierne derive che ha preso la sinistra. Gli argomenti sono i più caldi temi d’attualità, trattati con leggerezza ma anche con capacità d’affondo e di approfondimento rara nell’editoria di oggi. Un caso piuttosto unico e singolare di satira pungente all’italiana, che nasce praticamente dalla provincia e che non si è mai piegato a nessuno.