La TV è cambiata, e non solo perché il suo schermo è diventato più piatto e luminoso. Il fatto è che al flusso unidirezionale dei programmi si è aggiunta la massa di tweet e post che scorrono in tempo reale su altri schermi: quelli di smartphone e tablet connessi a internet. E ci sono momenti in cui gli hashtag fanno più rumore dei contenuti televisivi, come è successo nel caso della puntata di Report del 13 dicembre su ENI.
Le premesse del programma di Milena Gabanelli erano queste: “Report ha cercato di ricostruire il percorso di quella che si sospetta essere una delle più grosse tangenti mai pagate al mondo. Parliamo di circa un miliardo di dollari che l’Eni avrebbe sborsato per l’acquisto della licenza per sondare i fondali marini del blocco petrolifero denominato Opl245 in Nigeria.”
Durante la messa in onda del servizio di Report, il social media team di ENI ha iniziato a twittare sull’hashtag della trasmissione fornendo la propria versione dei fatti raccontati in TV. Infografiche, smentite, dichiarazioni e un dossier aziendale: tutto materiale diffuso in tempo reale, con una reazione sui social da parte della redazione del programma che ha ingranato con qualche ora di ritardo.
#Report parla di #Eni. Qui le nostre info su blocco #Opl245, anche quelle che la trasmissione non vi dirà pic.twitter.com/jJHbsWhoYG
— eni.com (@eni) December 13, 2015
Insomma, chi ha avuto la meglio? Molti comunicatori e social media manager hanno riconosciuto i meriti tecnici delle risposte di ENI sui social. Jacopo Paoletti, consulente di marketing e comunicazione digitale esterno alla faccenda, ha parlato di “crisis management e reputation online” macinando un po’ di numeri intorno agli account Twitter di Report ed ENI. In termini di visibilità, il confronto in diretta ha beneficiato entrambe le parti. Però, è anche vero che la maggior parte degli italiani costruisce la propria opinione fuori da Twitter.
Come dire, la TV è ancora una fonte di informazione diffusissima, ma non è più onnipotente. Citando @insopportabile su Medium: “il mondo dell’informazione deve fare i conti con nuove interazioni, sempre più dirette e in diretta.” Questo è un bene, ma anche un male. Se i media restano indietro nel campo della comunicazione social, l’unico a rimetterci è il pubblico. Riconoscere l’abilità comunicativa di ENI è un conto, ma osannare un’azienda perché ha surclassato su Twitter un programma di inchieste giornalistiche – con pregi e difetti – è come spargere sale su una ferita aperta.
Cara @eni Sono anni che vi invitiamo, non avete mai accettato. Di cosa avete paura? I programmi di inchiesta non sono talk show #report
— Milena Gabanelli (@GabanelliRai3) December 13, 2015
Da un lato, Report ha fatto presente che ENI si sarebbe rifiutata di rilasciare un’intervista televisiva – preferendo uno scambio via email – dall’altro, l’azienda ha utilizzato Twitter per comunicare al meglio il proprio punto di vista sfruttando la lentezza nelle reazioni social da parte della redazione del programma TV. Insomma, entrambe le parti hanno giocato secondo le regole del mezzo di comunicazione in cui si sentivano più forti.
In mezzo ai due fuochi – TV e social network – ci siamo noi, la gente. Per il nostro bene, sarebbe meglio astenersi dal tifare per una delle due parti. Piuttosto, dovremmo pretendere di ascoltare un’altra versione dei fatti. C’è un post del giornalista Massimo Mantellini che suggerisce: “Poi serve (servirebbe) una sintesi culturale di entrambi i punti di vista, un approccio non solo onesto (non ho motivo di dubitare del fatto che Gabanelli lo sia) ma soprattutto ‘terzo’ in maniera da risultare autorevole.”