teneri violenti ivan carozzi recensione
Libri
di Gabriele Ferraresi 20 Ottobre 2016

LIBRI FIGHI | Teneri violenti, di Ivan Carozzi

L’amore al tempo di WhatsApp, le storie dell’Italia perduta, la precarietà, Milano che cambia e il quartiere Isola: il superdiario di una generazione

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LIBRI FIGHI scritto così, in capslock, è una rubrica che comincia oggi e uscirà di sicuro ogni giovedì, ma magari più spesso, chissà. Cosa ci mettiamo in questa rubrica? Lo dice il nome, si spiega da sola.

Non solo nuove uscite però, anche classici o meraviglie sconosciute. Hai un LIBRO FIGO che ti piace tanto, che è importante, che pensi dovremmo leggere tutti e vuoi spiegarci perché? Che bello: sono 2500 caratteri spazi inclusi.

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Sul sito della casa editrice Einaudi a proposito di Teneri Violenti di Ivan Carozzi c’è scritto: “Un diario intimo e collettivo, originalissimo, che compone la partitura di un Paese innocente nella sua ferocia”. Che ammettiamolo, vuol dire tutto e niente. Quel che avrei voluto leggerci è questo: Ivan Carozzi è un animale sensibile come pochi altri in questo momento, ascoltatelo. Ascoltatelo come lui ha saputo ascoltare e raccontare una generazione e il cuore di una città.

Ivan Carozzi è un amico che sono felice di conoscere e con cui vorrei passare più tempo, un amico che all’inizio mi stava pure un po’ sulle palle, come del resto accaduto con quasi tutti i miei migliori amici: in Teneri Violenti ci racconta una storia in cui c’è molto di autobiografico. C’è il lavoro nella redazione di un programma tv, la ricerca di archivio sui quotidiani, ma c’è soprattutto quel fascino discreto delle storie perdute – perdute trenta o quarant’anni fa, quando i trenta quarantenni di oggi nascevano – che so lui prova da sempre, e c’è la precarietà perenne di un certo terziario avanzato, condita dalle piccole gioie e dalle enormi apprensioni che la mancanza di un orizzonte di vita provoca. Le conosciamo tutti.

È una generazione piegata sul passato quella che ci mette davanti agli occhi Carozzi, una generazione che sogna quel futuro che “non è più quello di una volta”, come ci rassicurava tempo fa, paracula e autoassolutoria, una scritta sul muro.

Sciocchezze: perché il futuro è probabilmente una merda, o luminoso, o robotico, o transumano, o garantito dalle famiglie – unico vero welfare state futuribile, altro che digital labor o reddito di cittadinanza, almeno nel breve periodo – oppure ancora il futuro sarà sempre più precario, impoverito, darwiniano, o più probabilmente imprevedibile in quanto futuro.

Meglio non pensarci. Meglio fare come il protagonista di Teneri Violenti, un giretto la sera in piazzale Archinto all’Isola, tra le hamburgherie, i fornai arrivati dall’Africa del Nord che partiti da Anche* girano in bici e ci propongono pizzette deliziose, appena sfornate, il bar dei cinesi dove bere qualcosa – uno spritz col Campari o un Negroni – rispettare al minuto un appuntamento che avevamo preso al Frida, e poi tornare al muretto intorno al parco giochi in piazzale Archinto a fumare e dove sedersi a fare quattro chiacchiere, tenendo d’occhio la bici legata poco in là.

Ivan Carozzi tutte queste cose, tutto questo piccolo mondo – che un giorno sarà inevitabilmente antico – le vive e le racconta, mischiando aneddoti personali a un’abilità nello scavare e riportare alla luce il passato rara, in una forma di autofiction leggera, dolcissima, dove alla fine quel che leggiamo e scopriamo è che in ogni pagina ci siamo noi; forse ancora più di lui.

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