Solo ieri vi abbiamo mostrato in anteprima il disegno del manifesto del prossimo MI AMI – 26 e 27 Maggio, a Milano – oggi vi raccontiamo meglio chi c’è dietro a questa bellissima illustrazione: Viola Niccolai.
Classe 1986, è nata a Castel del Piano, sul Monte Amiata, dove vive tutt’ora. Ha studiato all’accademia di Belle Arti di Firenze e si è specializzata in illustrazione all’accademia di Bologna. Ha collaborato con il New York Times, con la Feltrinelli, con la rivista Hamelin e con molte case editrici che si occupano di pubblicazioni per bambini. Ha all’attivo due libri, La volpe e il polledrino e Storie di ba, e si prepara a pubblicare il terzo, Blu, in collaborazione con i Musei Civici Fiorentini, dove analizza il ruolo di questo particolare colore all’interno della storia dell’arte. Attualmente insegna “Arte e immagine” alle scuole medie del suo paese.
In quest’intervista ci siamo fatti raccontare come una montanara dal carattere chiuso e ostinato – parole sue – sia in grado di realizzare opere così romantiche e dolci. Abbiamo anche parlato dell’importanza della luce, di come le forme non siano mai controllabili e di come i pennarelli siano uno degli strumenti più affascinanti di sempre.
Matite, acrilici, pennarelli e molto altro ancora. È difficile destreggiarsi tra tecniche così diverse?
Direi di no, anzi io la vedo proprio come una un forma di divertimento, di sperimentazione. Ogni volta che per lavoro mi lego ad una determinata tecnica poi, quando mi dedico a cose “più mie”, uso tutt’altro. È una sorta di compensazione, mi piace pensare di usare ogni tecnica allo stesso modo. Non la vivo come una cosa difficile ma proprio come una voglia di capire come esprimermi.
Ti piacciono molto i pennarelli?
Ultimamente li uso tantissimo, sono partita da modelli più professionali come gli Stabilo per arrivare ai Giotto, quelli che si usano a scuola. L’ho trovato molto stimolante: mi piace la loro trasparenza, mi piace vedere come, una volta secchi, si sovrappongano l’uno sull’altro. Spesso non uso nemmeno il colore puro, mi piace sovrapporre i vari strati: se, ad esempio, ho bisogno del verde sovrappongo il giallo con il celeste.
I tuoi lavori hanno un’anima dolce e romantica ma, a mio avviso, trapela sempre un lato più duro, quasi primitivo. Sbaglio?
Non sbagli, anzi, mi fa piacere che tu l’abbia colto. È vero che c’è quasi sempre un contenuto “dolciastro” ma, dal momento che non c’è mai un controllo eccessivo delle forme, mi piace che il tutto resti piuttosto grezzo. Mi piace che emerga, nel contenuto come nella forma, un che di primitivo nei miei lavori.
Tutto questo c’entra con le tue origini montanare?
(ride) Penso che c’entri tantissimo. Ho un carattere decisamente montanaro: sono chiusa, sono ostinata e questo, a mio avviso, si rivede nei miei disegni.
Quanto è importante l’elemento naturale nei tuoi lavori?
Vorrei che non fosse solo un qualcosa di decorativo. La natura non è mai un elemento di secondaria importanza e lo stesso vale per la luce. Mi piace concentrarmi sull’effetto finale e sull’atmosfera che avrà il disegno. È l’obiettivo che mi pongo fin dall’inizio: non ci arrivo per caso o come risultato di più ragionamenti. Come ti dicevo, una forma può venire in un modo piuttosto che in un altro mentre la luce e l’insieme dei colori devono avere un’armonia definita fin da subito.
Ci sei mai stata la MI AMI?
Purtroppo no. Mi piacciono molto i festival, solo che vivendo così decentralizzata non è così facile andarci. In più, di solito, vengono organizzati in periodi in cui lavoro.
L’idea di disegnare per un festival ti ha influenzato?
Essendo la prima volta che facevo una cosa del genere, quella del festival era diventata un’idea costante, quasi un’ossessione. Volevo che venisse bene, che fosse giusto per l’occasione. Quando, poi, sono riuscita ad abbandonare tutta questa sovrastruttura di pensieri, il disegno ha iniziato finalmente a prendere forma. In tal senso non esser mai venuta al MI AMI mi ha aiutato perché mi ha spinto a ricrearmi in testa un mondo che non avevo mai vissuto. In più è stato utile vedere tutti i manifesti delle precedenti edizioni capendo, così, come si è evoluto l’immaginario del festival in tutti questi anni.
Tra i tanti manifesti pubblicati qual è il tuo preferito?
Si tratta di artisti di grande talento, non è facile esprimere una preferenza. Mi è piaciuto molto quello realizzato da Ester Grossi, sia per come si univano le due figure protagoniste, sia per come l’illustrazione dialogasse con la veste grafica del manifesto.
Che tipo di input hai ricevuto prima di metterti al lavoro?
Tutto è partito da una frase molto semplice di Stefano Bottura, il direttore creativo del MI AMI. Lui mi ha scritto le parole “non era previsto che” e da queste sono partita ad immaginare una storia con due personaggi e un possibile “effetto sorpresa” che non si rivelasse in maniera così esplicita o didascalica. Per questo ho pensato a un gesto che lasciasse immaginare qualcos’altro, ho lavorato molto su questo movimento della mano, trovando la variante che funzionava meglio. Mi sono spesso confrontata con Stefano ma, va detto, è stato sempre molto disponibile e mi ha lasciato carta bianca.
Le palme, invece, come sono arrivate nel disegno?
È una delle idee nate in questi scambi di mail con lui. Inizialmente c’erano solo questi due ragazzi con il fiore, poi abbiamo capito che le palme potevano essere uno sfondo naturale adatto a quello che si voleva comunicare.
Di solito come ti prepari prima di iniziare un nuovo progetto?
Cerco di costruirmi delle cartelle con delle immagini che mi possano ispirare. Possono essere facce, palette di colori o anche altre cose che non c’entrano necessariamente con quello che sarà il risultato finale ma che mi aiutano nei miei voli pindarici. Fatto quello, è importante buttare subito l’idea su carta, altrimenti non riesco a concretizzare davvero le idee che ho in testa.
Ci sono stati altri elementi che ti hanno ispirato?
Sicuramente il periodo dell’anno in cui si svolge il festival. Mi sono concentrata non tanto sul momento in cui stavo disegnando ma sulla stagione in cui si terrà l’evento, l’estate. In tal senso il fiore è il fulcro di tutto il lavoro.
Quanto è durato il tutto?
Circa un mese, i primi scambi di mail mi pare risalgano a inizio febbraio.
Tra i tuoi colleghi quali sono quelli che invidi di più?
Ce ne possono essere tanti, ti citerei Kirsten Sims, Lorenzo Gritti, Studio Fludd, Benoit Guillaume, Cornelia O’Donovan, Gaia Stella, Kyutae Lee, Violeta Lopiz, Valerio Vidali o Sophie Lecuyer. Più in generale, invidio chi riesce a trasmettere un’immediata semplicità, pur nascondendo una complessità di fondo notevole.
Qual è la cosa più bella del tuo lavoro?
Mentre lavoro non penso a niente. È sicuramente una delle cose più belle in assoluto del mio mestiere.