I Panama Papers, la grande inchiesta giornalistica nata da un leak di documenti riservati dello studio legale panamense Mossack Fonseca – specializzato nella creazione di società in paradisi fiscali – ha acceso i riflettori su uno dei più noti centri offshore del mondo, Panama, e su come ricchi e potenti quando possono, sfuggano al fisco nazionale.
Del resto, una protagonista di Sex & The City diceva che “Gli uomini tradiscono per lo stesso motivo per cui i cani si leccano le palle; perché ci riescono“. Vale anche per l’elusione fiscale: se puoi farlo, lo fai. Tanto più che nella stragrande maggioranza dei casi le operazioni di finanza offshore sono perfettamente legali, e i paradisi fiscali malgrado i proclami delle organizzazioni internazionali continuano a esistere per un motivo molto semplice. Perché a qualcuno servono.
Giusto ieri Donato Masciandaro, professore e direttore del Dipartimento di Economia dell’Università Luigi Bocconi di Milano commentava riguardo ai Panama Papers che “Panama è un centro offshore conclamato, e da tempo, le organizzazioni internazionali l’ultima volta che hanno ufficialmente acceso i riflettori su Panama è stato nel 2014. Il governo di Panama ha risposto modificando la sua normativa sulla trasparenza finanziaria nell’aprile 2015, ma questo non significa che il Paese tutto ad un tratto sia divenuto trasparente rispetto alla necessità di conoscere la fisionomia dei capitali, anzi” spiegava in un video, sottolineando come lo strumento adottato per sanzionare i paradisi fiscali, le “liste nere” della comunità internazionale, sia quantomeno da ripensare.
Perché non funzionano: e i Panama Papers ne sono solo l’ultima delle prove.
“La comunità internazionale usa nei confronti dei centri offshore uno strumento spuntato, le cosiddette liste nere. La lista nera dovrebbe funzionare con un sistema di bastone e carota. Il bastone per un Paese dovrebbe essere l’inserimento nella lista nera, la carota esserne messo fuori modificando il suo atteggiamento nei confronti della trasparenza. In realtà è un’arma che non funziona. Spesso i dati mostrano come in realtà la lista nera disegna una carota e una carota, nel senso che il Paese opaco vede aumentare il flusso di capitali proprio per la sua scarsa trasparenza“.
Ma il problema è anche un altro. Ammettendo anche che da parte della comunità internazionale ci sia un interesse a sanzionare questi paradisi fiscali, quali soluzioni ci potrebbero essere per limitare l’afflusso di capitali offshore? L’embargo finanziario e una chiusura degli scambi commerciali per i Paesi opachi, conclude il Prof. Masciandaro, del resto “Dagli anni ottanta abbiamo visto tanti embarghi messi in atto, alcuni anche odiosi, come quello sui medicinali, non abbiamo mai visto un embargo finanziario. La ragione è molto semplice: i paradisi fiscali, i centri offshore esistono perché esistono tanti Paesi onshore che hanno interesse a tenere ancora alcune enclave grigie, magari vicino ai propri confini. Scoprire di tanto in tanto che esiste un paradiso fiscale è la classica scoperta dell’acqua calda“. Insomma, i paradisi fiscali esistono perché l’economia mondiale ne ha bisogno.
Per farci raccontare di Panama – da tempo buco nero dei capitali offshore – abbiamo contattato l’avvocato Giovanni Caporaso Gottlieb, vulcanico personaggio che tempo fa tentò anche la fondazione di uno Stato senza tasse, AntarcticLand, e spesso interpellato su questioni di fisco internazionale. Di lui si leggeva sul Fatto: “Giovanni Caporaso, ideatore del sito paradisifiscali.org e definito “il guru italiano delle offshore (…) Spiega di vivere a Panama da 20 anni e di aver scritto tre libri guida “per mettere a fuoco e proteggere i propri beni offshore”: “Come pagare Zero Tasse, i paradisi fiscali”, “Come usare una società offshore”, “I segreti della banca offshore”. “.
Il suo studio di Panama e i suoi uffici associati in Sud America e Caraibi offrono “servizi offshore, che comprendono: costituzione di società e fondazioni anonime; società di gestione di gioco d’azzardo e società di banca (per finanziarie); amministrazione di attività commerciali” e molto altro, insomma, tutto quello di cui avremmo bisogno per portare i nostri capitali lontano dal fisco. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Poniamo di voler portare a Panama un nostro ipotetico capitale, diciamo 10 milioni di euro. Quanto potrebbe costare una consulenza fiscale completa sul genere quelle offerte dallo studio Mossack Fonseca?
In genere la consulenza ha un costo fisso e non dipende dal capitale che poi verrà spostato, differente nel caso di consulenza su come spostare i propri capitali, che può costare dal 1 al 10% (del capitale, ndr). Mossack e Fonseca non sono carissimi, in genere i loro prezzi sono un 30% superiori ai miei.
Perché a molti conviene ancora occultare il denaro tramite società offshore?
Per proteggerli da un fisco assurdo che si accanisce contro le imprese, e per mancanza di fiducia sul sistema economico, politico e fiscale di un paese.
Come mai esistono ancora i paradisi fiscali?
Semplice, perché esistono paesi ad alta tassazione che impediscono agli imprenditori di sviluppare una attività remunerativa e li obbligano a cercare stratagemmi per sopravvivere in un mercato globale.
Chi ha convenienza al fatto che continuino a esistere?
Tutti, il sistema economico è globale e il costo delle tasse deve essere competitivo per poter restare a galla.
Quali ritiene che saranno le conseguenze dell’inchiesta Panama Papers per i leader politici coinvolti?
Come sempre cadranno i piccoli e finirà in una bolla di sapone per i grandi, è il gioco delle parti e dei poteri.
Come cambierebbe la finanza mondiale se non esistessero più paradisi fiscali?
Recessione generale.
Esiste una soglia quantitativa di denaro oltre la quale diventa “conveniente” affidarsi alla finanza offshore?
Dai 20mila euro annuali in su, praticamente sempre.